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martedì 24 marzo 2015

THE CHILDREN MUST BE HEARD 



La Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale legalmente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza ed è fondata sulla prevenzione della violenza domestica, la protezione delle vittime e l’espletazione di una congrua pena nei confronti dei trasgressori. Interpreta la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani nonché una forma di discriminazione (Art. 3 lett. a). E’ un dovere civico agire con coscienziosità al fine di prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli (art. 5). 

I reati previsti dalla Convenzione sono: la violenza psicologica (articolo 33); gli atti persecutori - stalking (art.34); la violenza fisica (art.35), la violenza sessuale compreso lo stupro (Art.36); il matrimonio forzato (art. 37); le mutilazioni genitali femminili (Art.38), l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata (Art.39); le molestie sessuali (articolo 40). Contiene ben 81 articoli suddivisi in 12 capitoli la cui forma, segue il modello in uso nelle più recenti convenzioni del Consiglio d'Europa e pone l’attenzione sulle "quattro P": prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli e politiche integrate. Ogni area prevede una serie di misure specifiche.

* La convenzione è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed è stata aperta alla firma l'11 maggio 2011 in occasione della 121ª Sessione del Comitato dei Ministri a Istanbul.  È stata firmata finora da 32 stati, e ratificata da Turchia,  Albania, Portogallo, Montenegro, Italia, Bosnia-Herzegovina, Austria e Serbia. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono giuridicamente vincolati dalle sue disposizioni, una volta entrata in vigore. In Italia, la Camera dei Deputati ha approvato all'unanimità la ratifica della convenzione in data 28 maggio 2013 e, sempre all'unanimità, il Senato ha convertito il testo in legge il 19 giugno 2013.

Il caso Barakat - Storia di una morte annunciata

Federico Barakat, ha il triste primato di essere il primo bambino in Italia ucciso in ambito protetto, ossia in un luogo dove persone sicure scelte dallo Stato avrebbero dovuto garantirne la tutela e la protezione. Sono le 16,30 del 25 Febbraio 2009.  Mohamed Barakat, il padre di Federico, si presenta al colloquio armato di coltello e pistola (sarebbe auspicabile la messa in opera di metal detectors già in uso nelle strutture aeroportuali). Federico, 8 anni, morirà 57 minuti dopo l’aggressione. Vano il suo tentativo di difesa sotto l'inaudita violenza delle 24 coltellate infertegli. Per quella morte vennero rinviati a giudizio Elisabetta Termini, dirigente del servizio sociale, Nadia Chiappa assistente sociale e Stefano Panzeri, un educatore. Antonella Penati, mamma del bambino, porta avanti con coraggio e determinazione la sua battaglia fino alla Corte Europea di giustizia. L’applicazione dei diritti e della sicurezza auspicati dalla Convenzione di Istanbul e l’incitazione alla denuncia sono in netto contrasto con la realtà oggettiva che spesso contempla l’affidamento del minore ad un uomo violento. Il tribunale dei minori si rivela negligente ed inefficiente nel momento in cui focalizza sulla conflittualità di coppia scegliendo la via della mediazione. Vengono ignorati i solleciti della mamma, come anche le segnalazioni, le denunce o il disagio e la paura manifestati dal bambino. Manca inoltre, un ascolto AUTENTICO. Si fa erroneamente distinzione tra violenza fisica e violenza psicologica. Ci troviamo spesso di fronte ad una mancanza di formazione degli organi competenti in merito alla violenza domestica nonché ad una sconcertante impreparazione nel fronteggiare una situazione di emergenza. La sindrome da alienazione parentale, viene spesso usata come bavaglio e la realtà delle Case Famiglia può celare una forma intestina di arroganza; la vittima ne esce, ancora una volta, avvilita. Ho scambiato alcune parole con Antonella e ho provato un grande rispetto nei suoi confronti e un desiderio sincero di contribuire, nel mio piccolo, alla divulgazione, affinché casi come questo, vengano, innanzitutto impediti o possano, nella peggiore delle ipotesi, trovare l’unico balsamo alle ferite inferte all’anima: la giustizia, quella VERA. Riflettiamo. 



Dario Fo per Federico Barakat e Antonella Penati www.youtube.com/watch?v=KRLkO8kWGbs
Federico nel cuore onlus: http://www.federiconelcuore.com/

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