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sabato 10 maggio 2014



Oggi parleremo di MOBBING, una ferita non ancora rimarginata, una piaga sociale che attribuisce un valore aggiunto (da interpretarsi con accezione negativa)  alla perdita di equilibrio della parola LAVORO. All’assenza di lavoro, allo sfruttamento sul lavoro e alle mille problematiche ad esso  legate, penso sia doveroso aggiungere anche questo termine, perlomeno fin tanto che ci sarà omertà da parte della vittima e dei colleghi non partecipanti che optano per il ruolo delle tre scimmie sacre, anch’esse, chiaramente, con valenza inversa rispetto al significato d’origine.


Il termine, di derivazione inglese "mobbing", dal verbo to mob (attaccare, assalire), ha radici in due significati diversi: un primo significato, con radici nell'etologia, si riferisce alla condotta di alcune specie animali, solite circondare in modo ostile un membro del gruppo per allontanarlo. Un secondo significato, è riconducibile all'espressione latina "mobile vulgus", riferito all'assalto dei vecchi dipendenti nei confronti del collega ultimo arrivato o di quello più capace ed ambizioso rispetto alla media. Il primo a parlare di mobbing quale condizione di persecuzione psicologica nell'ambiente di lavoro è stato lo psicologo svedese Heinz Leymann alla fine degli anni ottanta del XX secolo. In Italia, la tematica è stata introdotta dallo psicologo tedesco Harald Ege, che per primo nel 2002 ha pubblicato un metodo per il riconoscimento del danno da mobbing e della fenomenologia tramite il riconoscimento di sette parametri (metodo Ege). Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento, che potrebbe causare imbarazzo o altri problemi al datore di lavoro oppure per ritorsione in seguito a comportamenti non condivisi, ad esempio: denuncia ai superiori o all'esterno di irregolarità sul posto di lavoro, rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali: sessuali, illegali e quant’altro. Possiamo distinguere il Mobbing in due categorie: gerarchico o verticale e ambientale o orizzontale; nel primo caso, gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso invece, sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente dell’ordinaria collaborazione, del consueto dialogo e del rispetto. Si parla inoltre di mobbing strategico quando l'attività vessatoria e dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza o apicali). La pratica del mobbing sul posto di lavoro si esplica mediante la persecuzione sistematica di un lavoratore dipendente o di un collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica. Ad esempio: sottrazione ingiustificata di incarichi o della postazione di lavoro, dequalificazione delle mansioni a compiti banali e con scarsa autonomia decisionale così da rendere umiliante il prosieguo del lavoro; rimproveri e richiami, espressi in privato ed in pubblico anche per banalità, dotare il lavoratore di attrezzature di lavoro di scarsa qualità o obsolete, arredi scomodi, ambienti male illuminati, interrompere il flusso di informazioni necessario per l'attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull'accesso a Internet), continue visite fiscali in caso malattia (e spesso al ritorno al lavoro, la vittima trova la scrivania sgombra). Per porre fine al mobbing occorre prendersi del tempo per sé (ferie, malattia) ed infine denunciare; perché questo sia possibile occorrerà raccogliere dati, informazioni, in parole povere PROVE dello stato di impotenza/sottomissione a cui il lavoratore è assoggettato suo malgrado. E’ un problema da non sottovalutare in quanto, a lungo andare, creerà sicuramente nella vittima: scarsa autostima, angoscia, apatia, incapacità di adattamento e di fiducia nei confronti di un altro, si auspica più sano, ambiente di lavoro.


Qui di seguito, alcune delle associazioni che offrono sostegno in questi casi. Per trovarle basta una semplice ricerca su Internet.
Le associazioni potranno suggerire legali di fiducia specializzati in diritto del lavoro.


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