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venerdì 24 ottobre 2014

Anima zen di un haiku








La moda di comporre haiku nacque dagli Yazaku Haikai: gare letterarie con un premio in denaro a chi componeva il maggior numero di versi nel minor tempo, che in epoca Momoyama (1573-1603) ed Edo (1603-1868) erano un divertimento popolare molto diffuso. Un celebre vincitore di queste competizioni fu lo scrittore Ihara Saikaku, che narrava la vita dei quartieri di piacere e dei teatri, il famoso "mondo fluttuante" (Ukiyo) ritratto anche nelle celeberrime stampe (ukiyo-e) di Hokusai, Hiroshige e Utamaro.
Il termine haiku significa letteralmente “poesia del viandante”. Dei due ideogrammi che lo compongono, il primo (hai) ha in origine il senso di “girare”, “pellegrinare”, “viaggiare”, mentre il secondo (ku) vuol dire “frase” o “poesia”. Per semplificare, si tratta di un componimento poetico di origine giapponese costruito sullo schema sillabico 5, 7, 5.
  1. Il primo verso introduce un argomento con un’immagine diretta.
  2. Il secondo, sviluppa la situazione presentata.
  3. Il terzo verso si contrappone, introducendo un sottile sbalzo semantico (a volte, già il secondo verso introduce un nuovo tema, in antitesi al primo verso).
Negli haiku moderni non può mancare un riferimento stagionale (kigo) che può essere inserito anche sotto forma di metafora ma, tutto ciò è limitativo: bisogna penetrare lo spirito Zen che attraversa queste opere e la necessità del poeta stesso di entrare in connessione con l’universo e realizzare l’unione degli opposti in un processo alchemico. L’haiku deve essere un mezzo di meditazione per arrivare alla verità essenziale. Chi compone un haiku non guarda ad un oggetto, ma come quell’oggetto.

Matsuo Bashõ (1664-1694)

Nella visione di Bashõ, tutto è Kami, divinità e al cospetto del divino si colloca, anima e corpo in unità inscindibile, nella condizione estatica della contemplazione. Fu un mistico, umile e povero, d’una povertà francescana. L’amicizia e la poesia furono le grandi passioni della sua vita. A quarant’anni intraprese un pellegrinaggio attraverso il paese. In viaggio portava un cappello largo fatto di stecche di bambù e paglia intrecciata, abiti di carta dura, come usavano allora i poveri, e sandali di paglia di riso. Aveva una bisaccia appesa al collo con dentro rotoli di carta, i pennelli e la pietra rettangolare dell’inchiostro di china, un bastone, il rosario buddista, un gong e un piccolo flauto. A coloro che volevano dedicarsi alla poesia raccomandava quattro cose: Wa, la pace, l’armonia con tutti gli esseri, animati e inanimati; Kei, il rispetto profondo; Sei, il corpo e lo spirito liberi dal desiderio di possesso; Jaku, la tranquillità e il distacco affettivo dalle creature per un’indispensabile calma interiore. A partire da questa ascesi si può giungere a uno stato di estasi che solo la contemplazione della vera bellezza può suscitare. E’ a quel punto che l’haiku scaturisce.


Inverno desolato
nel mondo d’un solo colore
il suono del vento.

Al profumo del pruno
Sbuca improvviso il sole.
Sentiero tra i monti.

Tutta nel canto
consumata, la cicala
ha lasciato la spoglia.


Suvvia,andiamo
a contemplare la neve
fino a cadervi dentro.



Tre discepoli di Bashõ: Naitõ Joshõ, Kagami Shikõ, Õshima Ryota

Naitõ Joshõ (1662-1704)

Naitõ fu dapprima samurai, poi divenne monaco buddista e si unì al gruppo di amici poeti che faceva capo a Bashõ. Quando il maestro morì, portò il lutto per tre anni.


Sabishisa no
Soko mukete furu
Mizore kana


*Cade nevischio
attraversando il fondo
della tristezza.


*Note: è palese l’influenza del maestro nell’opera di Naitõ Joshõ

Nella sua mesta solitudine, il poeta, rende autentico il contatto con il nevischio.



Kagami Shikõ (1665-1731)


Fu sempre considerato uno dei migliori discepoli di Bashõ. Fu lui a scrivere il primo saggio critico sull’opera del suo grande maestro e a renderlo noto in tutto il giappone.

Suge-gasa o
Kite kagami miru.
Chatsumi kana

Indossando il cappello di paglia
guarda dentro lo specchio.
La raccolta del tè…

La contadinella, col suo ampio copricapo, si lascia distrarre dalla propria immagine allo specchio tanto da dimenticare la raccolta del tè. Non vi è un’intenzione di natura narcisistica ma una sottintesa analisi interiore racchiusa nel verso “guarda dentro lo specchio”.



Õshima Ryota (1718-1787)

Evitò il seryu, l’haiku sarcastico in auge verso la metà del diciottesimo secolo; si adoperò invece per un ritorno della poesia ai canoni estetici di Bashõ. E’ ricordato come un maestro di fascino eccezionale: ebbe fino a duemila discepoli.

Asakaze ya
Tada hito-suji ni
age hibari

Brezza del mattino
l’allodola s’innalza
dritta nel cielo.

La levità della brezza mattutina ci restituisce la leggerezza del volo dell’allodola.

Note: sono stati riportati anche i versi in lingua giapponese per renderne la metrica originale, poi evaporata a fronte della traduzione.



PENSIERI FINALI DI UN'ANIMA ZEN

Quando divenne chiaro che Matsuo Basho, il più grande dei poeti haiku, stava per morire, i suoi amici gli chiesero un componimento di morte, ma egli rifiutò. Affermò che in un certo senso ogni poema che aveva scritto nel decennio precedente – decisamente il più produttivo e di profondo coinvolgimento Zen - era stato scritto come fosse un componimento di morte. Tuttavia, il mattino successivo, il poeta chiamò gli amici al proprio capezzale e disse loro che durante la notte aveva fatto un sogno e che al risveglio gli era venuta in mente una poesia. Quindi recitò queste famose strofe:

Ammalato, in viaggio,
tuttavia su campi avvizziti
i sogni vagano.



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